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Chiabrera, Gabriello.

Poeta italiano. Passò la giovinezza a Roma, da dove fu cacciato per aver ucciso un suo rivale. Girò di corte in corte, a Firenze, a Torino, a Mantova, sempre ben accolto e acclamato. Come tutti i secentisti il C. pensava che la poesia fosse "obbligata di far inarcar le ciglia": ma per raggiungere questo scopo non si servì (come il Marino e gli altri seicentisti) dell'immagine sorprendente e della parola capace di meravigliare; piuttosto contò sulla solennità dell'eloquio e sulla materia eroica, sublime. Scrisse poemi eroici: Gotiade, Firenze, Amedeide; drammi pastorali e melodrammi: Rapimento di Cefalo, Alcippo, Pianto d'Orfeo; tragedie: Erminia, Angelica in Ebuda. Ma il suo nome è legato soprattutto alle canzoni eroiche in cui l'imitazione da Pindaro si rivela come un fatto esterno e formale, mentre manca l'adesione del sentimento all'intima ragione del canto. Con l'anima e non solo con l'ingegno egli attese, invece, alla ricerca di uno stile e agli studi di metrica. I suoi cinque Dialoghi dell'Arte poetica trattano del "verso eroico", della "tessitura delle canzoni" e degli "ardimenti del vezzeggiare" e in questo campo il C. ha esercitato un influsso innegabile dall'Arcadia, al Parini, al Foscolo delle odi, fino al Carducci (Savona 1552-1638).